to seguendo da qualche giorno una, a tratti feroce, polemica su alcuni interventi di street art realizzati a Rubiera: sul gruppo “Sei di Rubiera se” si è aperto un dibattito tra chi difende l’operato degli artisti e dell’amministrazione e chi lo attacca. Un grande classico quando si parla di “arte pubblica”, vaga definizione che oggi accoglie anche filoni d’arte informale come la street art, il graffitismo, i murales. Quando un luogo pubblico viene denotato tramite un’opera d’arte il popolo si scatena su legittimi quanto scontati giudizi estetici. Come spesso accade, gli interventi ‘che non piacciono’ fagocitano quelli apprezzati dagli abitanti concorrendo a fomentare polemiche sempre uguali che tirano in ballo la libertà - di espressione - i soldi pubblici usati indebitamente, cosa sia l’arte, la frustrazione di chi si vede imposto un intervento che cambia il proprio panorama. Frustrazione che, stranamente, non si scatena per muri di cemento o affissioni pubblicitarie tanto per dirne una. Ciò che ha una funzione infatti viene accettato per la funzione stessa, lasciando così in secondo piano l’impatto estetico dell’opera. Ma le nostre città, le strade, i quartieri sono profondamente connotati visivamente da infrastrutture, cartellonistica, interventi di vario genere decisi a tavolino dalle amministrazioni. Eppure nessuno le mette mai in dubbio - o non lo fa con la stessa violenza - con cui si attacca l’arte. Perchè l’arte non serve a nulla. Inutili le centinaia di esempi nel mondo in cui un progetto di street art ha cambiato le sorti di un quartiere difficile. Inutili le storie di paesi dimenticati da Dio diventati meta turistica come capitali della street art (Orgosolo, per rimanere in Italia). Inutile anche vedere il movimento generato da quelli che per molti rimangono insensati segni su un muro pubblico: i curiosi che si interessano al progetto, i bambini che aiutano gli artisti a completare un’opera, l’orgoglio di una strada “malfamata” che diventa cornice di un’opera d’arte. La polemica riguarda sempre il soggettivo, l’opportunità di apporre o meno il proprio “like” al progetto o sapere quanto è costato il muro. Perchè tra i tanti mestieri oggi non riconosciuti come tali c’è anche questo. Eppure riconoscere - e pagare - il valore di un opera che ha un impatto pubblico è importante non solo per l’artista ma soprattutto per il pubblico che impara a valutare l’opera come frutto di una progettualità, di un lavoro, di uno scambio e di un’esecuzione. Il bello della street art è il dialogo: opere regalate all’occhio del passante che raccontano qualcosa, che parlano del contesto, della storia, che impongono perlomeno una riflessione, una domanda. Certo, c’è anche la questione estetica, ma non sarà certo un murales a mettere tutti d’accordo su cosa sia o non sia l’arte.
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