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Il capodoglio di Reggio Emilia

Il 10 Aprile 1938, su una spiaggia vicino Senigallia, si arenarono - non si sa bene il perchè - sei capodogli. Morirono tutti. Ma siccome del capodoglio non si butta via niente, una cooperativa di pescatori locali ne prelevò cinque per farne dell’olio. Il sesto, troppo piccolo per finire imbottigliato, divenne invece un’attrazione di insperato successo: caricato su un camion ed esibito nelle piazze come mostro marino pare abbia fruttato più degli altri cinque messi insieme (nelle cronache dell’epoca si parla di “valigie di quattrini”). “Il piccolo” così piccolo infatti non era: parliamo di un esemplare di circa otto mesi, lungo più di sette metri e dal non indifferente peso di 39,7 quintali. Dopo un non precisato percorso, il capodoglio arrivò infine a Reggio Emilia, e più precisamente nel cortile del seminario di San Rocco, dentro i portici della Trinità (che furono poi demoliti per far posto al vituperato isolato San Rocco). E qui cominciò a puzzare di brutto. Cosa fare, cosa non fare “il piccolo” era già destinato alla distruzione quando un certo Socrate Gambetti, allora tecnico tassidermista dei Musei, non convinse l’amministrazione ad acquisirlo e farglielo imbalsamare. “Ma quanto costa il giochino, Socrate?”. E allora il buon Socrate si mise a fare la lista della spesa:

kg 12 di anidride arseniosa in polvere,

kg 7 di carbonato di potassa,

kg 4 di canfora sintetica,

kg 10 di formalina liquida,

lt 10 di alcol denaturato,

kg 3 di creosoto di faggio,

kg 3 di essenza di betulla,

kg 3 di sublimato corrosivo,

kg 15 di sapone di Marsiglia,

kg 10di potassa caustica,

un armatura in legno e ferro, materiali vegetali per imbottitura, mastici diversi, colori, vernici.

“Dai c’andom”. Rispose l’amministrazione.

Il capodoglio fu così portato al macello comunale per il processo d’imbalsamazione. Socrate sapeva non sarebbe stato uno scherzo perchè il capodoglio non solo è molto grande ma è anche molto grasso, e i grassi, da imbalsamare, sono una bella gatta da pelare. Infatti ci vollero 18 mesi. C’è anche da dire che “il piccolo” era arrivato a Reggio che non solo puzzava di brutto ma si era già decomposto per benino, così alcune parti dovettero essere ricostruite da zero. Per conservare le pelle oleosa e riprodurne la brillantezza il capodoglio fu poi spalmato a più e più riprese con pece greta e catrame. Ma alla fine venne proprio un “bel lavour”. Ma non era finita… C’era anche il problema delle dimensioni. Siccome “il piccolo” era destinato a diventare l’attrazione principale dei Musei Civici bisognava anche pensare a come farcelo entrare, nel museo. Fu così imbalsamato un po’ curvo, perchè passasse con più facilità nei corridoi. Secondo me - ma le cronache pare non ne facciano cenno - qualche bestemmione, nel trasporto, è stato tirato lo stesso. Da allora non c’è bambino di Reggio (e provincia) che non sia stato portare a tributare un saluto al capodoglio, e non senza meraviglia. Poi, nel 2015, “il piccolo” è stato spostato al 3° piano dei musei. E secondo me anche lì due bestemmie son volate. E niente, fine della storia.


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