{ Esercizio 3 o sul modello di “Mi ricordo” di George Perec: scrivete una serie di frasi che comincino tutte con “Mi ricordo”.}
Mi ricordo che quando avevo cinque, sei, sette anni, la domenica mio papà mi diceva Oggi andiamo in collina. Ci stavamo per delle belle ore, a guardare gli uccelli - che io studiavo su un libro illustrato che mi portavo dietro e quando ne vedevo uno sciorinavo la mia lunga lista saputa di cinciallegre, cince bigie, pettirossi, gazze e altri. Lui guardava più le piante, le rose selvatiche, i rovi, ogni tanto si portava dietro un coltellino svizzero, una paletta e ne prendeva un po’, da piantare in giardino, a casa. Mi ricordo che c’era un freddo becco, che di solito le gite in collina le facevamo tra febbraio e aprile, quando vedi che sta arrivando la primavera e senti quel bisogno fisico di stare fuori al sole, di camminare, di stancarti, dopo tutto l’inverno. Mi ricordo che lui aveva sempre questa giacca color corda, piena di tasche da cui tirava fuori cose alla rinfusa, tipo il coltellino svizzero, cartacce e sacchetti per le piante rubate, l’immancabile pacchettino accartocciato di quelle caramelle fortissime alla menta che a me non sono mai piaciute. Mi ricordo che quella giacca lì aveva un nome, e per la precisione si chiamava La Giga, anche se non so o forse non ricordo perché si chiamava così. Mi ricordo che La Giga era sempre stropicciatina e a mia madre non piaceva, diceva Guarda te se devo uscire con uno così spigasento, sembra che c’hai dormito dentro, adesso te la butto. Mi ricordo che quando si metteva La Giga mio padre sembrava ancora più lui. Mi ricordo che in un viaggio in Sicilia mio padre La Giga l’aveva lasciata stesa sotto il lunotto e il sole l’aveva scolorita tutta a chiazze e così poi era sparita di colpo. Mi ricordo che mio padre ogni tanto chiedeva Dov’è finita La Giga ma mia madre cambiava discorso o rispondeva Cosa ne so di dove lasci la tua roba. Mi ricordo che anche se ero piccola e non ne sapevo molto dei rapporti di coppia, non che poi ne sappia molto di più adesso, ma mi ricordo che capivo già che La Giga aveva fatto una brutta fine, e un po’ mi dispiaceva per mio papà, che io me lo ricordo così bello e stropicciato, in queste domeniche fredde in collina, con la sua Giga controvento, che si vedeva che stava pensando a delle cose importanti, lì fuori, che poi è una sensazione che provavo anche io, a guardarmi intorno, la provavo anche allora ma più adesso, che quando vado su quelle colline - perché ci vado spesso ancora, che c’è un posto bellissimo, che è il mio posto del cuore, quando devo pensare o devo piangere, o devo bere una birra con un mio amico che anche lui capisce come fa male delle volte guardare le colline e sentire quella roba lì che non va ne su ne giù e che in un film degli anni Novanta la chiamavano Ovosodo, ci vado ancora in quei posti e la sento, quella sensazione lì che credo sentisse mio padre, che è un po’ come quando ti chiedi chi sei, cosa fai, dove stai andando, ma poi non è che sono solo uno stronzo, chi sono io per avere queste velleità e per credere di sentire queste cose enormi, che non è neanche che le pensi, ma le senti e basta. Mi ricordo queste cose qui, e anche tante altre, ma queste se ci ripenso, è un attimo che mi viene il magone, e allora, visto che questo è uno scritto sul ricordo mi sembrava bello che ne venisse uno fuori che un po’ mi fa anche piangere, se provo a scriverlo.
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