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Collettivo FX / come nasce un movimento artistico

Sono più di cinquanta persone, per la maggior parte trentenni. Sono manager, comunicatori, contabili, fotografi, segretarie, medici. Sono quelle che, pur superficialmente, definiamo "persone normali". Fanno una vita normale, magari hanno figli, un lavoro stabile, una macchina, giocano a calcetto una volta la settimana, le ferie pagate, un mutuo, vacanze una volta l'anno, una birra con gli amici il mercoledì sera, la cravatta la mattina.

Di notte invece sono artisti, fuorilegge, poetici untori di bellezza e creatività o comunque si possano definire persone che, rinunciando ad ore di sonno, un caldo divano e il conforto della tv, hanno un solo obiettivo in testa: dare un volto ed un messaggio al cemento, al grigio, al prefabbricato. O, come si legge nel loro manifesto: "inquinare il cemento armato urbano e di campagna. Sono esclusi gli stabili già deturpati dal tempo e dal buongusto, come palazzi, chiese, castelli, etc".

Questa la carta d'identità del Collettivo Fx, nato nel dicembre 2010 a Reggio Emilia - meglio, Sant'Ilario, e ormai diffuso in gran parte del Nord Italia, con punte che toccano il Sud America e il Nord Europa. Forse ne avrete visto le opere mentre guidavate in autostrada, passeggiando per i centri storici dei paesi della provincia o su qualche muro cadente, casotto, infrastruttura: grandi visi (il più grande supera i 6 metri) in bianco e nero di personaggi più o meno famosi: Marcello Mastroianni, Frank Zappa, Charlie Chaplin, Alfred Hitchcock, passando per Platone, Woody Allen, Camillo Prampolini, Picasso e Zach de la Rocha. Un mix di vecchio e nuovo, locale ed internazionale. Quelli del Collettivo non sono murales ma opere artigianali dipinte su carta ed incollate in punti strategici della città, tutte realizzate dalla stessa mano, un artista che si autodefinisce "l'artigiano" di Fx. Punti particolarmente amati dagli "attacchinatori" Fx (così amano definirsi gli streeters che, nottetempo, incollano le figure) le infrastrutture autostradali, scelta che ha poi premiato il Collettivo con una certa fama tra i pendolari di passaggio tra Reggio e Milano. "E' capitato che, dopo aver visto alcune nostre opere lungo le autostrade, alcuni abbiano iniziato a segnalarci luoghi interessanti da "inquinare". Si tratta di persone che non conosciamo e che hanno deciso di aderire al Collettivo perchè colpiti da questa strana forma di street art" - ci ha raccontato, attraverso un'intervista anonima, uno dei membri storici. "Oltre ai veri e propri "attacchinatori notturni" c'è quindi tutta una rete di segnalatori e simpatizzanti che ci indicano luoghi, ma anche nuovi soggetti da realizzare". Il lavoro del Collettivo è stato oggetto di alcune mostre in gallerie importanti, di articoli, reportage (da Londra) e "attacchi virali". Sul sito ufficiale del Collettivo è infatti possibile richiedere un pacchetto di ministickers da esportazione da attaccare su muri e cemento cittadino. Poche ma ferree le regole: dopo ogni attacco lo stickers va fotografato e rimandato al Collettivo che lo inserisce sul sito e sulle mappe. Gli ultimi pacchetti inviati stanno, al momento, contagiando Parigi, Berlino e Taiwan. "Un aspetto importante per il Collettivo è quello dell'azione. L'idea di poter fare qualcosa, di agire in prima persona, lasciare un segno. Intendiamoci, non vogliamo ergerci a benefattori dell'umanità, abbiamo coscienza di essere, in primo luogo, dei cazzari - racconta l'anonimo sorridendo -. Il Collettivo è nato infatti davanti ad un paio di birre, durante l'ennesima serata in cui ci siamo ritrovati a lamentarci del capo, dello stipendio, della routine ma anche della frustrazione legata alla sensazione di non avere nulla in mano, che sia già tutto prestabilito e inaccessibile. Un sentimento molto sentito nella generazione dei trentenni di oggi. Gli "attacchinaggi" sono una reazione a tutto questo. Ma non una reazione arrabbiata o una rivolta; piuttosto l'idea di lasciare un segno positivo su una materia brutta come il cemento".

Nato da una cellula reggiana il Collettivo mantiene un forte legame con il territorio, pur arrivando a coinvolgere oggi tantissime città: "in alcune recensioni uscite sul nostro lavoro mi ha colpito in particolare la riflessione sulla reggianità del movimento. Un aspetto che noi dall'interno forse non avevamo colto ma che ci rende molto fieri. In questa forma di arte allargata e collettiva c'è chi ha letto uno spirito battagliero, un moto d'orgoglio, un germe rivoluzionario che le genti reggiane si portano ancora dentro, un'eredità delle generazioni passate che hanno fatto la storia".

Un passato che è anche riemerso, quasi casualmente, nella scoperta di un comune legame di alcuni membri del collettivo, i cui nonni furono tra gli scioperanti delle Reggiane ad inizio anni '50. "Durante quello sciopero i lavoratori delle Reggiane, per evitare i licenziamenti e il possibile fallimento dell'azienda, misero a punto un progetto per risollevarne le sorti: si trattava di un cingolato agricolo - il C60 -, divenuto poi il simbolo della contestazione". Proprio sul C60 si concentreranno le prossime azioni del Collettivo che sta preparando delle opere ispirate al manifesto del cingolato.



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