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Il senso di Christian Bellei per le bolle

La Cantina della Volta si chiama così perchè, pochi metri dietro l’azienda, c’è un fiume. Una volta quel fiume era navigabile e proprio nell’ansa che incornicia la cantina le imbarcazioni fluviali scaricavano ciò che trasportavano e tornavano indietro. Questa era “la volta”. E’ un dettaglio, quello del fiume navigabile, non indifferente per chi conosce i vini - e le bottiglie - prodotte da Christian Bellei in una Bomporto che dal mare è così lontana. Difficile infatti non notare le imbarcazioni e le immagini “marinare” che campeggiano sulle etichette della cantina. Difficile soprattutto non chiedersi come mai una cantina emiliana abbia scelto proprio la barca come proprio simbolo. Eppure il segno dei vini di Bellei sta tutto qui, nell’acqua. Un’acqua che è quella del fiume, che scorre, viaggia e che rende fertile la terra al suo passaggio. Quella che Bellei racconta è una bella storia di terroir, di memoria e di movimento: cerebrale prima che muscolare, curioso prima che tecnico.

Ecco allora che le bolle della Cantina della Volta acquistano un senso ancora più marcato, che la mano del vigneron fa sentire la sua caratura nei rosè, negli spumanti, nei pinot. Vini pulitissimi, dalla bollicina perfetta, spesso salini, anche questo un omaggio a questa fetta di terra racchiusa tra due fiumi, il Secchia e il Panaro. Penso al Tigri e all’Eufrate mentre Christian racconta quanto la terra sia fondamentale nel dare l’impronta alle sue creature: le sue vigne son tutte arroccate lungo il Secchia dove il terreno più sabbioso è la culla perfetta per i Metodo Classico che produce. Meno il Panaro, più argilloso, e quindi più adatto a vini con maggior struttura e minore acidità.

Ma dicevamo… bolle perfette, finissime e vivaci, colori preziosi ed eleganti, profumi complessi che cambiano e si evolvono dal primo all’ultimo bicchiere. Un privilegio ascoltare Bellei che spiega ogni passaggio produttivo, ogni innovazione (spesso adottata, dove non migliorata, dallo Champagne, la terra che più lo ha ispirato nel suo lavoro di ricerca), ogni momento di “vita” del vino, in cui l’esperienza diventa decisione e infine impronta ben distinta nel bicchiere. Manca ancora il dettaglio più importante. Qui stiamo parlando di Lambrusco. Un vino che, come direbbero alcuni, non gode di buona stampa. Un vino considerato “povero”, da pasto, scuro, ruvido, campagnolo e onesto come lo stereotipo che l’emiliano si porta dietro nel mondo. Ma se occorre ricordarsi che l’emiliano ha sì le mani nella terra ma la testa effervescente si dovrà un giorno riconoscere al Lambrusco la stessa onestà intellettuale. Le storie, ma soprattutto i vini, di alcune cantine, tra cui la Cantina della Volta merita senz’altro il posto d’onore, insegnano che abbiamo appena iniziato a dare una possibilità a queste uve, simili, per versatilità, alle tanto amate bollicine d’Oltralpe.


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